lunedì 30 maggio 2016

Recensione: 'Cantico dei Cantici' di Sholem Aleykhem


Ben trovati, miei cari lettori! 
Eccomi qui oggi a parlarvi di una piccola perla della letteratura yiddish che ho scoperto grazie ad una mia amica che me l'ha anche gentilmente prestato (irrilevante che questo prestito sia stato fatto tra Cagliari e Bari usufruendo del servizio postale xD ).


TITOLO: Cantico dei Cantici. Un amore di gioventù in quattro parti
AUTORE: Sholem Aleykhem
EDITORE: Adelphi
ISBN: 9788845918421
FORMATO: Brossura
PREZZO: € 8,00

TRAMA: «Tu sei bella, amica mia, tu sei bella davvero. Occhi come colombe, capelli come caprette che scivolano giù da un monte. I denti sono bianche pecorelle appena uscite dal fiume... ». E' così, attraverso le parole del Cantico dei Cantici, che Shimek ha sempre pensato a Buzi, la nipote quasi coetanea che è stata accolta in casa dopo la morte del padre. Shimek e Buzi sono cresciuti insieme, insieme sono andati al tempio per la celebrazione delle cerimonie rituali e insieme (in un paesaggio agreste che sembra un doppio perfetto di quello del Cantico dei Cantici) hanno fatto lunghissime passeggiate, nel corso delle quali Shimek, nascondendo a Buzi la sua passione, le ha raccontato storie meravigliose. Poi, disubbidendo al padre, è partito per la grande città. E quando torna, è solo per scoprire che è troppo tardi, che Buzi sta per sposare un altro e non gli apparterrà mai. A Shimek non resta che ricominciare - con le stesse parole, con lo stesso ritmo incantatorio di una preghiera - a raccontare la loro storia dall'inizio, come chiudendola in un cerchio di ripetizioni infinite. Nell'evocare questo amore archetipico, che unisce in una sola, brevissima vicenda la felicità più acuta e il senso di una perdita insanabile, Sholem Aleykhem si rivela capace come pochi di toccare le sensazioni elementari e di trasferirle senza ostacoli sulla pagina - e mai ne va perduta l'oscura forza.


"Avevo un fratello maggiore, Benye.
Annegò.
Lasciò un mulino, una giovane vedova,
due cavalli e una bambina.
Il mulino fu ceduto.
I cavalli messi in vendita.
La vedova si risposò in un luogo lontano.
E la bambina venne affidata a noi.
Era lei, Buzi.
Buzi è un nome, il vezzeggiativo di
Ester-Libe: Libuzi - Buzi."


Questo è uno dei periodi che viene più volte riproposto durante tutta la narrazione. E tutto il libro è un insieme di ripetizioni che inneggiano a questo amore fanciullesco e puro che Shimek prova nei confronti di Buzi. Ma, a differenza di quello che si potrebbe pensare, queste ripetizioni non provocano nessun fastidio. 
Tutto il libro è pervaso da questa vena romantico - poetica che ti trascina in un 'luogo' in cui il sentimento viene vissuto in maniera puramente spirituale, in una maniera molto pura e platonica, che ti spinge a scoprire ( o riscoprire) la vera essenza dell'amore.
Purtroppo il finale non è dei migliori: Shimek decide di dichiararsi troppo tardi e Buzi ormai è promessa sposa ad un altro. Ma, seppur con malinconia e dolore, il protagonista non si crogiola nel suo dolore decidendo di ricordare tutta la poesia e la felicità che questo sentimento ha suscitato in lui.


"Ogni fine, anche la migliore,
è un accordo triste.
L'inizio, l'inizio peggiore,
è meglio della migliore delle conclusioni."


Ammetto di essere rimasta un po' interdetta alla fine di questa lettura. Ho avuto bisogno di un po' di tempo per assimilare il livello di poesia e bellezza che questo piccolo capolavoro (96 pagine) contiene in sé.
Sono consapevole anche di quanto scarna sia questa recensione ma vi assicuro che potrei rimanere qui a scrivere anche fino a domattina ma non renderei giustizia all'intera vicenda ed al libro stesso. Quindi perché non togliervi ogni curiosità e leggerlo?!?
E' assolutamente una lettura consigliata, soprattutto a chi non si sofferma sulla forma ma punta più all'essenza del libro che affronta.

VOTO: 5/5

Al prossimo post! ;)




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